In principio era il gallo oppure in principio era l’uovo. Uno delle due comunque, anche se a logica da un uovo può pure nascere un gallo mentre un gallo, per quanto possa impegnarsi, difficilmente produrrà un uovo.
Certo che, a guardare il logo del Birrificio Rurale, uno potrebbe perderci un sacco di tempo tentando di decifrare che cosa diavolo significa un gallo con un uovo all’interno. L’unica altra opera sulla quale ci si è interrogati così a lungo riguarda l’enigmatico sorriso della Gioconda di Leonardo. Traetene le debite conseguenze.
Tutte le cose, anche quelle più misteriose, hanno comunque una spiegazione razionale. Per comprendere il “mistero” del gallo si deve tuttavia fare un passo indietro. E cominciare questa storia con cinque personaggi in cerca di una birra d’autore. Se ci trovate un vago riferimento a una lettura scolastica meglio, altrimenti è lo stesso.
Dunque i cinque rispondevano, e fortunatamente rispondono tutt’ora, al nome di Lorenzo Guarino, Silvio Coppelli, Beppe Serafini, Marco Caccia e Stefano Carnelli.
Ai tempi in cui la birra artigianale non godeva ancora del “sacro furore” attuale i cinque bazzicavano con regolarità il Birrificio Italiano di Lurago Marinone e le “lezioni” di mastro Agostino Arioli, uno dei pionieri della birra non pastorizzata. Bere ettolitri di Tipopils e “vedere la luce” furono la stessa cosa, “diffonderne il verbo” la naturale conseguenza.
Da bravi discepoli l’idea di trascorrere infiniti weekend e serate a trafficare con pentole e annessi non li spaventava, l’idea di collezionare brutte figure nei primi concorsi nemmeno, mettere a repentaglio la serenità familiare per una blanche o per una pils non li sfiorava e con l’incoscienza tipica degli innamorati o dei folli si lanciarono nell’impresa.
Ed è più o meno a questo punto che il loro sguardo ardente di fermentazioni incrociò quello del gallo…